I forti nella Grande Guerra

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FORTE CAMPOLONGO 

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        FORTE BELVEDERE                       FORTE CHERLE                     FORTE LUSERNA        FORTE DOSSO  DELLE SOMME

 Tutti i forti ricalcano più o meno la stessa struttura che vedeva a terra i locali di servizio (centrale elettrica, telefonica, comando, depositi, infermeria, e guarnigione) con casematte in pietra nei piani superiori coperte in cemento o dislocate nei vari punti strategici per un pronto intervento nelle diverse postazioni all’occorrenza, ma tutto a debita distanza di sicurezza rispetto a dove si trovavano le cupole dei cannoni e le postazioni di mitragliatrici.

i forti dell'altopiani_clip_image002_0006 piantina dislocazione forti

su gentile concessione della Apt di Folgaria

Queste opere corazzate furono equipaggiate con obici da 100 mm. e cannoni leggeri, mentre gli opposti forti italiani, meno corazzati, erano però meglio equipaggiati con cannoni da 150 mm. Ecco perchè con l’aprirsi del conflitto i forti italiani arrivarono a centrare i forti austriaci senza che questi potessero controbatterli. Tra uno e l’altro forte erano state realizzate trincee di collegamento e appoggio dove presenti vi erano i seguenti battaglioni:

 

Battaglione Schwaz ufficiali 9 sottoufficiali 49 truppa 231

Battaglione Kitzbuhel uff. 11 sottoufficiali 55 soldati 273

Battaglione Merani Uff. 10 sottoufficiali 37 soldati 255

Battaglione Gries Uff. 11 sottoufficiali 32 soldati 256

Battaglione Kufstein Uff. 12 sottoufficiali 63 soldati 383

Battaglione Sterzing Uff. 12 sottoufficiali 76 soldati 294

Battaglione reutte Uff. 13 sottoufficiali 58 soldati 306

Battaglione Glurns Uff. 15 sottoufficiali 66 soldati 361

Al settore dei forti vennero assegnati i btg Glurns, Gries Kitzbuel, Reutte oltre a compagnie territoriali. *

 

 

 

 PREMESSA

Chiunque sia appassionato o meno degli eventi storici che coinvolsero le diverse Nazioni nella Grande Guerra, non può  non recarsi a visitare le diverse fortezze ancora presenti  che furono costruite a difesa dei diversi punti strategici esistenti lungo i confini di allora. Osservando gli esterni, gli interni, la loro dislocazione, le strutture, come erano organizzate, è possibile comprendere come la Grande Guerra venne vinta dall’Italia grazie e solo all’indomito coraggio dei nostri  Militi che, obbedivano sempre e comunque,  anche quando erano consapevoli che molti ordini loro impartiti si dimostravano essere assurdi per le innumerevoli vite umane che venivano poi perdute e solo per conquistare pochi metri di terra.  Mi è impossibile non esprimermi al riguardo dell’incapacità palese dimostrata  da alcuni Comandi nell’inviare, con ordini a dir poco assurdi, parecchi uomini a queste carneficine, nonostante fossero pervenuti loro chiare indicazioni contrarie, da chi effettivamente era presente al fronte e in prima linea. Comandanti di Battaglioni e Compagnie  che si trovavano a dover adempiere loro malgrado, un difficile compito nel dover comandare ed inviare in piena contrarietà, i propri uomini a sicura morte.  Bisogna pensare che la maggior parte dei „generali“ di allora, provenivano da guerre combattute in precedenza, dove sconosciute erano le micidiali mitragliatrici, i gas, i reticolati e le insidiose trappole. Le trincee, le fortificazioni, le artiglierie erano alcune tra le diverse evoluzioni che in pochi anni si erano compiute, quali sistemi di difesa e attacco,  così come gli armamenti forniti in dotazione (bombe a mano ecc.). Gli ufficiali (sottotenenti, tenenti, capitani) che parteciparono alle guerre risorgimentali o alla breccia di Porta Pia e all’Unità di Italia, nel proseguire la loro carriera elevandosi di grado, rimasero fermi a quei tempi, operando e decidendo strategie  nella Grande Guerra fondate su schemi obsoleti e dannatamente disastrosi. Basti pensare come anche la scienza medica  si trovò impreparata, abituata come era dal passato a estrarre le vecchie „palle“ di fucile ad avancarica dei tempi napoleonici.  Gli stessi medici appartenenti alla regia sanità infatti dovettero far fronte ad una nuova realtà drammatica, per la presenza delle schegge delle diverse bombe che penetrando dirompenti dilaniavano e la cui estrazione diveniva difficile, o ai gas che inspirati facevano scoppiare  deturpando ogni soldato, o alle pallottole esplosive (peraltro vietate dalle diverse convenzioni). Oggi molte gambe amputate sarebbero state salvate, mentre allora l’inconsapevolezza, accanto alle impossibili condizioni in cui dovevano intervenire, obbligavano nel procedere a più facili e veloci soluzioni, eliminando i diversi problemi mediante amputazioni. Insufficienti di numero furono i medici che a quel tempo erano presenti e che si trovarono (proprio per effetto della mutata tecnologia degli armamenti) a dover far fronte in pochi minuti a decine e decine di feriti o moribondi. E questo proprio e anche in virtù di quelle decisioni e ordini insensati e ignobili dati da questi „generali“ che bene sarebbe stato fossero andati immediatamente in pensione o loro stessi in prima linea. A solo titolo di esempio, tra gli innumerevoli purtroppo esistenti, si pensi ai 1048 Fanti e 38 ufficiali del Bgt Treviso che morirono sul Col Basson nel 1915. Al Calvario degli Alpini perpretato dal Comando Generale  sul Monte Ortigara.  Nel 1916 vennero ordinati attacchi su attacchi frontali, privi di preparazione ed adeguata copertura da parte delle artiglierie. Gli innumerevoli reticolati  presenti (impossibili per loro consistenza da tagliarsi con gli iniqui tagliafili dati in dotazione) e non divelti dalle bombarde, che anzi, dopo i loro scoppi facevano ritornare a terra i reticolati ancor più intrecciati tra loro,  portarono i poveri Alpini ad essere colpiti proprio davanti a quegli insuperabili reticolati, sotto il tiro incrociato delle mitragliatrici, e dei fucili che li attendevano. E quei pochi varchi aperti dove tutti cercavano di entrarvi pur di non essere falcidiati nel tentativo vano ed impossibile di oltrepassare i reticolati, sarebbero poi stati  coperti dalle mitraglie nemiche che, senza spostare il tiro, sparavano dirette. Varchi  ostruiti quindi con gli innumerevoli corpi ammassati uno sopra l’altro. E quando i pochi superstiti al massacro riuscivano a conquistare una postazione o una trincea, questo era dovuto al fatto che,  i loro compagni, partiti all’assalto per primi, cadendo uno dopo l’altro, gli permisero  di arrivare, perchè questi uomini a mano a mano che avanzavano, di fatto morendo, facevano da scudo a quanti erano dietro di loro.  Per quelle poche decine quindi che arrivavano, dietro di loro centinaia erano i corpi dei caduti. Il fatto dell’assurdità nel caso dell’Ortigara, fu che dopo la strage avvenuta nel 1916, il comando decise di ripeterla l’anno successivo, adottando le stesse strategie dell’anno precedente.  Unica differenza  che poco portò, fu una presenza maggiore di copertura delle artiglierie. Ma di fatto l’esperienza dell’anno precedente a nulla valse, in quanto i reticolati e le mitraglie non solo erano là ad attenderli nuovamente, ma in quell’anno furono ancor più ben assestate così come le difese. In altre parole gli Austriaci si prepararono ancor più rispetto al 1916, trovandosi davanti a loro gli stessi poveri Alpini sopravvissuti nell’anno precedente. Si pensi quindi quale fosse il morale degli eroici Alpini nel ritornare in questi luoghi dove, appena un anno prima, videro morire molti dei propri compagni,  che erano stati  sepolti nei vari cimiteri presenti nel Caldiera, vicino all’Agnelizza, e le cui croci non erano certo loro di incoraggiamento. Consapevoli tutti che queste sarebbero di gran lunga aumentate ad appena un anno di distanza per un puntiglio di pochi „generali“ che nulla sapevano o vedevano dalle loro postazioni comode in decima linea nelle retroguardie a km di distanza dal fronte. Fatti questi provati dai numeri.

Ritornando alle fortezze.

Queste a distanza di parecchi decenni, hanno mantenuto inalterato il loro deciso aspetto, nonostante fossero state colpite dai vicini forti italiani appena iniziata la guerra (Verena,  Campomolon, Campolongo, postazioni del Pasubio e Passo Borcola). Principalmente il forte Luserna, Cherle e Dosso delle Somme. Mentre verso la fine di maggio 1915 venne colpita la parte est del forte Belvedere da un proietto italiano, che entrando in un pertugio causò nove morti e diciotto feriti Austriaci. Stessa sorte accadde al forte Italiano Verena (costruito da ingegneri militari che non tennero conto della potenza di calibro e gittata degli armamenti nemici) non sufficientemente corazzato per sopportare grossi calibri quale poteva essere ad esempio il 420. Un proiettile di 420 è presente nel cimitero Militare Austriaco di Folgaria proveniente da Serrada dove era posizionato il pezzo di artiglieria. Il Verena, colpito anch’esso agli inizi del conflitto, sopportò ingenti perdite della guarnigione presente, e non potè adempiere così ai suoi compiti per i quali era stato previsto, se si consideri la sua posizione predominante e fortemente insidiosa che condusse subito alla sua eliminazione. Con la strafexpedition e l’avanzata Austriaca, tutti i forti presenti persero della loro importanza in quanto passarono in seconda linea. Vennero lasciate esigue guarnigioni solo quale presenza, e i molti fucilieri, furono spostati in prima linea. Nell’arretramento successivo degli Austriaci, alcuni di questi vennero utilizzati per colpire con fuoco di sbarramento alcuni punti strategici, ma certamente il loro ruolo si andò notevolmente a ridurre rispetto al 1915. Una cosa è certa, ancor oggi. La visione di questi esempi di genio militare, incutono quel doveroso rispetto fornendo al visitatore il senso della loro grandezza e resistenza. Alcuni tra loro si troverebbero in condizioni migliori se l’uomo non li avesse danneggiati durante il secondo conflitto con il recupero del ferro, e quindi successivamente perchè lasciati al degrado. Fortunatamente oggi, riconosciuta la loro importanza storica, le diverse amministrazioni locali meritevoli, hanno iniziato un lento recupero. L’augurio è che questo continui nel tempo, e che all’interno vengano maggiormente segnalate con apposite indicazioni ogni singola sala per come al tempo  era destinata, affinchè chiunque la veda possa riconoscere quella che fu la sua reale destinazione d’uso dell’epoca. Il forte Belvedere ne è l’esempio.

Tutte queste fortezze vennero costruite prevedendo uno scontro militare con l’Italia sui confini meridionali dell’Impero a partire dal 1907. Nonostante fosse visibile l’incessante opera in corso, nulla per contrastare questi giganti venne fatto da parte italiana lungo il proprio confine, se non tardivamente in prossimità del conflitto.   Auguro ora  a tutti una buona visione.

* tratto da 1914 – 1918 La grande guerra sugli altipiani di Tullio Liber Ugo Lettempergher Andra Kozlovic G. Rossato ed.